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LE FRAGILI RADICI DELLA COMUNITA’ ITALIANA

Nell’inverno del 1945-46, dopo oltre vent’anni di buio e di paura, anche da noi tornò a splendere alto il sole della libertà e della speranza.
Si era appena usciti dalla tragica esperienza della guerra e da vicende storiche che avevano lacerato il tessuto sociale brissinese, lasciandoci un’eredità di forti tensioni e risentimenti. Si doveva ricominciare da capo e tutto era maledettamente difficile e complicato.

L’economia era in grave crisi: gli uomini, rientrati dalla guerra o dalla prigionia, faticavano a trovare lavoro. Le condizioni di vita erano grame e tribolate, per tutti. Centinaia di famiglie erano ammassate in abitazioni malandate e talvolta malsane, prive d’acqua corrente e di servizi igienici: un solo gabinetto esterno per due o più nuclei familiari. Il bagno si faceva quando e come si poteva. Anche i contadini, specie quelli di montagna, se la passavano male. Molti masi non avevano né energia elettrica né acqua corrente e nemmeno strade di collegamento.
Una povertà dignitosa che interessava un po’ tutti, ma che era avvertita in modo più acuto dagli italiani i quali, non possedendo né case né campi, erano sicuramente più svantaggiati e più minacciati dalla miseria. Si contavano sulle dita di una mano i proprietari di case o di un alloggio; pochi erano i commercianti e i professionisti; si difendevano un po’ meglio gli artigiani: meccanici, imbianchini, barbieri, calzolai, falegnami. Erano visti come fortunati (si fa per dire) i dipendenti pubblici che a fine mese, poco o tanto che fosse, uno stipendio lo portavano a casa.
La comunità di lingua italiana (poco meno di 5.000 anime), oltre che smarrita, frustrata e povera, era debolissima sul piano politico e culturale. Era gente che proveniva da regioni lontane e da paesi tanto diversi per costumi e tradizioni; si trovava a disagio in una terra dove si parlava e si pensava in tedesco. Italiani: più o meno tutti malati di nostalgia del paese lontano, del volto dei parenti e degli amici, del suono delle campane, degli odori e dei profumi della propria terra. Quassù si sentivano disorientati, sradicati e senza patria, incapaci di capire la realtà locale. Era in somma una comunità scombinata e sgangherata, ancora alla ricerca di una propria dignitosa identità.
Bressanone era come un porto di mare, una stazione ferroviaria con tanti treni in arrivo e in partenza, un continuo viavai di gente, un andirivieni senza sosta.
In quel periodo fu netta l’impressione che gli italiani riuscissero a fare comunità soltanto in chiesa o attorno alla parrocchia, grazie anche all’impegno e alla sensibilità del “parroco degli italiani” – don Franco – che come pochi altri sapeva consigliare, confortare, incoraggiare.

Appena finita la guerra era stata ricostituita la sezione del CAI in seno alla quale si formò il “Coro Dolomiti” diretto dal maestro Armando Faes. Per la nostra gente quello fu un importante punto di riferimento e di aggregazione: si ritrovò il gusto di stare assieme, di socializzare, di intraprendere le prime gite scorrazzando allegramente sui cassoni di un camion. Possedere una moto o una bicicletta, allora, era un lusso e nessuno andava in vacanza. Quello delle ferie al mare era un genere di consumo per pochi privilegiati. La gente comune se ne stava sempre a casa.
D’estate le famiglie italiane cercavano svago nelle gite domenicali o nelle piccole escursioni in montagna; molti si spingevano a Novacella, a Pinzago, al maso Pineto o a S. Andrea. Altri, più ardimentosi, raggiungevano l’Ackerboden e la malga Buoi, o salivano al rifugio Plose; e quelle escursioni avevano il sapore dell’avventura e della conquista. Nello zaino pochi panini, un po’ di frutta o qualche fetta di torta. Ci si dissetava fermandosi alle fontanelle lungo i sentieri o ai bordi di un rigagnolo. Si tornava a casa con un mazzolino di fiori e tanta gioia nel cuore.
Molto frequentata era anche la chiesetta di Colle Libero. Quanti gitanti, quante famiglie salivano fin lassù dove, la domenica, si poteva assistere alla messa. Anche gli italiani erano molto affezionati a quella chiesetta. Molti brissinesi frequentavano anche il santuario di Maria Trens, facilmente raggiungibile in treno.
Una sola ricchezza accomunava i due gruppi etnici: la prole. Erano tutti carichi di figli. Anzi, più erano poveri e più figli tenevano. Proletari veri, autentici. C’erano bambini dappertutto; spuntavano da ogni portone e da ogni angolo di strada, tutti svegli e intraprendenti, tutti disponibili ad aiutare la famiglia, specie quando si doveva andare a legna. Durante la stagione dei funghi molti trascorrevano le giornate nei boschi in cerca di “brise” o di mirtilli che poi vendevano nei centri di raccolta. In autunno molti ragazzi andavano a raccogliere patate e mele; e così parecchie famiglie riuscivano a sbarcare il lunario. Imparavano presto come e cosa si doveva fare per stare al mondo. E non si annoiavano; nessuno parlava di “disagio giovanile”.

La scuola Rosmini era frequentata da oltre quattrocento scolari, cinque aule per ogni sezione. E le refezioni scolastiche, istituite per le famiglie bisognose, erano sempre affollate. Ai ragazzi, dall’appetito sempre formidabile, venivano distribuiti abbondanti piatti di maccheroni e di riso e, a merenda, confezioni di marmellata e zollette di zucchero. Su molte confezioni figurava la scritta: “Dono del popolo americano”. D’estate i ragazzi frequentavano la colonia di Castellano, istituita da don Franco, o quella di Plancios; i più fortunati andavano a Cesenatico o a Calambrone dove, per la prima volta, vedevano il mare.
Nell’inverno del 1945-46, dopo oltre vent’anni di buio e di paura, anche da noi tornò a splendere alto il sole della libertà e della speranza.
Si era appena usciti dalla tragica esperienza della guerra e da vicende storiche che avevano lacerato il tessuto sociale brissinese, lasciandoci un’eredità di forti tensioni e risentimenti. Si doveva ricominciare da capo e tutto era maledettamente difficile e complicato.

Erano anni di privazioni e di sacrificio, ma anche di grandi tensioni ideali e di forte speranza.
Fu in quel periodo, infatti, che sbocciò il fiore della Corale San Michele; pochi anni dopo germogliarono le pianticelle della Pro Cultura e delle ACLI, divenute nel corso degli anni fondamentali e insostituibili punti di riferimento per la nostra comunità. Bisogna riandare a quegli anni per comprendere il valore e il significato di queste nostre gloriose associazioni.
Erano davvero altri tempi, dove tutto era più semplice e meno complicato; la gente badava all’essenziale, non era ancora ammalata di consumismo o ammaliata dalle sirene del futile e del superfluo; si accontentava di poco e con poco. Si divertiva quando e come poteva: qualche ballo a carnevale (organizzato dal CAI), gare di tombola, di briscola o scopone in casa, gite in montagna d’estate e, soprattutto, cinema. Dopo l’inaugurazione dell’Oratorio Don Bosco avvenuta nel 1954, erano quattro i cinema funzionanti in città: Astra, Don Bosco, Enal e Stella, tutti ben frequentati.
Forse aveva ragione Padre Turoldo quando affermava: ”Il canto è la ricchezza dei poveri, i ricchi non cantano mai. Il nostro è un tempo che urla ma non canta”.
Si cantava alla buona, per le strade, durante il lavoro, la sera con gli amici. Si cantava anche in chiesa, talvolta in modo urlato e sgangherato. Sotto le volte della chiesa risuonavano i cori popolari, intonati alla buona, ma eseguiti con appassionato trasporto e con qualche stecca. La liturgia era quella preconciliare e si cantava anche in latino. A volte venivano soverchiate le tenere e delicate vocine delle ragazze del coro parrocchiale, che era nato da poco.
Il trapasso dalla vecchia civiltà contadina a quella industriale e consumistica è stato così veloce che ha stordito un po’ tutti, soprattutto gli anziani. Si ha l’impressione che non sia rimasto nulla, che tutto venga portato via da questo frenetico e convulso “andar del tempo”, definito dai modernisti: progresso e sviluppo. Ma non è vero. I valori che contano restano, le piante che hanno messo radici solide resistono.

di Fausto Ruggera, Estratti da Un pieno di sogni e di ricordi, in Corale San Michele, una piccola storia Brissinese 2001

Die zarten Wurzeln der italienischen Gemeinschaft

Um nicht zu vergessen, werfen wir einen Blick auf die Geschichte dieser Chorgemeinschaft, die seit 55 Jahren die italienische Volksgruppe von Brixen begleitet. Der Chor ist in schwierigen Zeiten entstanden, in denen die Wunden des Zweiten Weltkriegs gewaltig zu spüren waren. Schon die Ereignisse vorher waren alles eher als erfreulich.
Die Italiener waren vielfach gegen ihren Willen nach Südtirol gekommen und wurden als lästige Eindringlinge empfunden. Aus verschiedenen Gegenden stammend, bildeten sie unter sich keine einheitliche Gruppe. Noch schwerer fand man sich mit Einheimischen zurecht. Man betonte das Trennende der beiden Sprachgruppen, obwohl beiden Not und Elend gemeinsam waren. Ein tiefer Glaube und ein starker Wille zum Überleben ermöglichten jedoch den Bau einer besseren Zukunft. Mit wenigen Mitteln, aber mit viel Einfühlungsvermögen und Schwung konnte man beitragen, für kurze Zeit wenigstens Sorge und Last des Lebens zu vergessen.
Auf diesem düsteren Hintergrund versuchten einige Vereine Abhilfe zu schaffen; z.B. Pro Cultura (italienischer Kulturverein) und Corale San Michele. Ihnen gelang es, im eigenen Lager Brücken zu schlagen und rege Kontakte mit der deutschen Sprachgruppe zu pflegen.
Unser Chor schaut auf liebe Erinnerungen zurück, blickt aber auch mit ehrgeizigen Zielen in die Zukunft. Man hofft mit Hilfe der Musik, Zäune niederzureißen und Vorurteile abzubauen.

Foto panoramica di Bressanone negli anni ’40 - A. Errigo
APT Bressanone Panoramaaufnahme von Brixen - 1940

Veduta storica della città di Bressanone - via Bastioni Maggiori
Historische Ansicht von Brixen - Großer Graben

Veduta storica della città di Bressanone - Ponte Aquila
Historische Ansicht von Brixen - Adlerbrücke

IL PRIMO CORO PARROCCHIALE DELLA COMUNITA’ ITALIANA

Ufficialmente la costituzione del coro parrocchiale in lingua italiana di Bressanone risale al 15 gennaio 1946, ma già nell’autunno dell’anno precedente il catechista don Soave Costantini – appassionato intenditore e cultore di musica – aveva rivolto alle sue alunne e alle ragazze della comunità italiana un invito ad entrare nel costituendo coro parrocchiale. Il suo intento era quello di promuovere e curare il canto sacro a sostegno e decoro delle celebrazioni liturgiche. Chiedeva alle future coriste “buona voce e buona volontà”. Al suo appello ci fu una risposta soddisfacente: una ventina di giovinette si presentò alle prove fissate alle 16.30, dopo le lezioni, in un’aula delle scuole elementari A. Rosmini; stavano “sedute nei banchi troppo stretti per le più grandi”.

Nasceva così, quasi in sordina, il primo nucleo di quella che sarà più tardi la Corale San Michele di Bressanone: un piccolo coro di sole voci bianche.
In seguito la sede delle prove – due volte la settimana – si trasferì in canonica, “dove almeno c’era un pianoforte”, e poi nella stanza del direttore: una cameretta che ben presto si rivelò insufficiente. Talvolta, nella buona stagione, le prove si facevano sotto gli alberi di piazza Duomo.

Der erste italienische Pfarrchor

Die Gründung des italienischen Pfarrchors von Brixen erfolgte am 15. Jänner 1946. Der Katechet Don Soave Costantini hatte die Schülerinnen der italienischen Gemeinde eingeladen, dem zu gründenden Pfarrchor beizutreten. An die 20 Mädchen kamen zur ersten Probe, die um 16.30 Uhr nach der Schule in einem Klassenzimmer der Rosminischule stattfand. Unter den vielen Ermutigungen war jene des italienischen Seelsorgers Don Franco die wärmste. Die Proben konnten später im Pfarrwidum stattfinden, wo es auch ein Klavier gab. In der warmen Jahreszeit wurde auch unter den Bäumen des Domplatzes geprobt.

DON SOAVE COSTANTINI

Nato a Cortina d’Ampezzo il 19 dicembre 1913, ad appena quattro mesi Soave perse la mamma, Anna Mattiuzzi, e fu adottato dalla signora Rosa Zangiacomi che lo allevò con profondo amore materno standogli per lunghi anni premurosamente accanto. Quando “mamma Rosa” rimase vedova furono don Soave stesso e la sua fedele collaboratrice Anna Pedevilla a prendersi cura di lei.

Dopo le elementari, nel 1924 Soave entrò nel Vinzentinum di Bressanone ed iniziò gli studi classici come “Nullaner”, ossia nella classe “zero”, quella di preparazione alla prima media per i ladini, specialmente ampezzani, non ancora sicuri in tedesco. Nel 1933, conseguita brillantemente la maturità classica, intraprese gli studi teologici nel Seminario Maggiore e fu ordinato sacerdote nel duomo di Bressanone il 29 giugno 1937.

Fu cappellano a Pieve di Livinallongo, a Badia e a Pieve di Marebbe. Cooperatore nella parrocchia di Bressanone dal 1943 al 1955, operò come catechista di ruolo fino al pensionamento nel 1971. Nel contempo, impegnato soprattutto nella cura d’anime italiana, ricoprì per molti anni la carica di assistente diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e del Centro Turistico Giovanile, nonché quella di delegato diocesano per la sorveglianza degli spettacoli cinematografici.

Continuò a coltivare in maniera affascinante e contagiosa i propri hobby giovanili: escursioni in montagna, giochi di prestigio e soprattutto amore per la musica in generale ed il canto in particolare; un amore che nel 1946 lo portò a fondare il coro parrocchiale italiano di voci bianche, lo “zoccolo duro” della futura Corale San Michele. Ammalatosi gravemente, morì a Bressanone il 14 luglio 1978.

Don Soave Costantini

DON SOAVE COSTANTINI

Er wurde am 19.12.1913 in Cortina d’Ampezzo geboren. Nach dem Besuch der Grundschule kam er 1924 ins Vinzentinum nach Brixen zum Studium am dortigen Gymnasium-Lyzeum. Ab 1933 studierte er am Priesterseminar Philosophie und Theologie und wurde am 29.06.1937 im Brixner Dom zum Priester geweiht. Nach mehreren Kooperatorenjahren in Pieve di Livinallongo (Buchenstein), Abtei, und Enneberg wirkte er in gleicher Eigenschaft von 1943 bis 1955 in Brixen. Damit war auch die Erteilung des Religionsunterrichtes an der italienischen Grundschule verbunden, ein Dienst den er als Stammrollenkatechet bis zur Pensionierung im Jahre 1971 versah.

Für viele Jahre wirkte er außerdem als Diözesanassistent der Katholischen Jugend italienischer Muttersprache, des touristischen Jugendzentrums und als Beauftragter der diözesanen Filmkommission.

Mit Begeisterung ging er den Hobbys seiner Jugendzeit nach, dem Bergwandern, Taschenkünstlerspielen, und nicht zuletzt der Musik. Dabei galt seine große Vorliebe dem Gesang. Daher gründete er 1946 einen Pfarrchor mit Oberstimmen für die italienischen Gottesdienste. Daraus erwuchs die Chorgemeinschaft „Corale San Michele“, der er bis zu seiner schweren Erkrankung treu blieb. Am 14. Juli 1978 verstarb er im Alter von 65 Jahren.

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